Medico competente, datore di lavoro: chi può sapere se un dipendente è vaccinato?

Con riferimento al contesto emergenziale, il 14 maggio 2021, l’Autorità Garante per la protezione dei dati personali ha emanato alcune indicazioni relativamente al ruolo del medico competente anche con particolare riferimento ai trattamenti di dati personali inerenti la vaccinazione dei dipendenti.

In un contesto finalizzato a mantenere un livello elevato di salute e sicurezza del dipendente, degli altri lavoratori e dei terzi, il datore di lavoro deve assicurare che i dipendenti “non siano adibiti alla mansione lavorativa specifica senza il prescritto giudizio di idoneità” e di tenere conto, nell’affidare i compiti ai lavoratori, “delle capacità e delle condizioni degli stessi in rapporto alla loro salute e sicurezza”.

Il medico competente, nell’ambito delle proprie attività di sorveglianza sanitaria, è invece l’unico soggetto legittimato a trattare i dati sanitari dei lavoratori e a verificare l’idoneità alla mansione specifica.

In tale quadro, quindi IL DATORE DI LAVORO NON PUÒ ACQUISIRE, NEANCHE CON IL CONSENSO DEL DIPENDENTE O TRAMITE IL MEDICO COMPETENTE, I NOMINATIVI DEL PERSONALE VACCINATO O LA COPIA DELLE CERTIFICAZIONI VACCINALI (cfr. FAQ Garante Privacy 1 e 2 sul “Trattamento di dati relativi alla vaccinazione anti Covid-19 nel contesto lavorativo”, doc. web n. 9543615). Ciò anche per l’impossibilità di considerare il consenso dei dipendenti, una valida condizione di liceità per il trattamento dei dati personali in ambito lavorativo, specie per le specifiche disposizioni nazionali che vietano al datore di lavoro di trattare dati “non pertinenti” e “non attinenti alla valutazione dell’attitudine professionale del lavoratore”.

Il tema del trattamento dei dati relativi alla vaccinazione può allo stato essere inquadrato nell’ambito della verifica dell’idoneità alla mansione specifica, che consente quindi al medico competente (e solo a lui), nella sua funzione di raccordo tra il sistema sanitario nazionale/locale e lo specifico contesto lavorativo e nel rispetto delle indicazioni fornite dalle autorità sanitarie, anche in merito all’efficacia e all’affidabilità medico-scientifica della somministrazione dei vaccini, di emettere giudizi di idoneità parziale e/o inidoneità temporanee per i lavoratori non vaccinati (salvo che il rischio non possa essere ridotto con misure di protezione e/o organizzative alternative e di eguale efficacia).

Il datore di lavoro a propria volta potendo venire a conoscenza del solo giudizio di idoneità alla mansione specifica e delle eventuali prescrizioni fissate dal medico competente come condizioni di lavoro dovrebbe, in base al quadro normativo sopra delineato, attuare le misure indicate dal medico competente e, qualora venga espresso un giudizio di inidoneità alla mansione specifica, adibire il lavoratore, ove possibile, a mansioni equivalenti o inferiori garantendo il trattamento corrispondente alle mansioni di provenienza.

CASO PARTICOLARE: IL CONTESTO SANITARIO

Nei casi di esposizione diretta ad “agenti biologici” durante il lavoro, come nel contesto sanitario che comporta livelli di rischio elevati per i lavoratori e per i pazienti, trovano applicazione le “misure speciali di protezione” previste per taluni ambienti lavorativi. Anche in tale quadro, solo il medico competente, nella sua funzione di raccordo tra il sistema sanitario nazionale/locale e lo specifico contesto lavorativo e nel rispetto delle indicazioni fornite dalle autorità sanitarie anche in merito all’efficacia e all’affidabilità medico-scientifica del vaccino, può trattare i dati personali relativi alla vaccinazione dei dipendenti e, se del caso, tenerne conto in sede di valutazione dell’idoneità alla mansione specifica. Il datore di lavoro dovrà invece limitarsi ad attuare le misure indicate dal medico competente nei casi di giudizio di parziale o temporanea inidoneità alla mansione cui è adibito il lavoratore.

Tenuto conto delle specificità legate al contesto lavorativo sanitario, in considerazione dell’esposizione a un maggior rischio di contagio per gli operatori sanitari e, seppur in diversa misura, per il personale operante all’interno di strutture sanitarie o residenze assistenziali e in considerazione degli elevati rischi per i terzi destinatari delle prestazioni sanitarie e degli altri soggetti che interagiscono con l’ambiente di lavoro (pazienti, familiari, fornitori), era stato auspicato un intervento del legislatore nazionale che valutasse se porre la vaccinazione quale requisito per lo svolgimento di determinate professioni o mansioni.

L’art. 4 del d.l. 1° aprile 2021, n. 44 (Misure urgenti per il contenimento dell’epidemia da COVID-19, in materia di vaccinazioni anti SARS-CoV-2, di giustizia e di concorsi pubblici) ha successivamente previsto che “al fine di tutelare la salute pubblica e mantenere adeguate condizioni di sicurezza nell’erogazione delle prestazioni di cura e assistenza, gli esercenti le professioni sanitarie e gli operatori di interesse sanitario che svolgono la loro attività nelle strutture sanitarie, sociosanitarie e socio-assistenziali, pubbliche e private, nelle farmacie, parafarmacie e negli studi professionali sono obbligati a sottoporsi a vaccinazione gratuita per la prevenzione dell’infezione da SARS-CoV-2. La vaccinazione costituisce requisito essenziale per l’esercizio della professione e per lo svolgimento delle prestazioni lavorative rese dai soggetti obbligati”.

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