Il concetto di sviluppo sostenibile viene facilmente collegato ai temi Green, all’ambiente e alla transizione ecologica. Ma non è solo questo.
Sono 3, infatti, le dimensioni fondamentali dello sviluppo sostenibile: quella economica, quella sociale e quella ambientale. Si tratta proprio dei fattori ESG (acronimo di Environmental, Social e Governance). L’adozione di pratiche ESG può portare benefici economici a lungo termine, come una maggiore efficienza dei processi organizzativi, una riduzione dei costi e una migliore gestione del rischio. Uno degli obiettivi, infatti, della gestione orientata ai requisiti ESG è quello di creare valore a lungo termine per gli investitori, tenendo conto degli impatti sia ambientali che sociali.
Se dal punto di vista dei requisiti ambientali oggi la crisi climatica e le pressioni del mercato, sempre più consapevole e sensibile a questo tema, spingono naturalmente le Organizzazioni ad adottare pratiche sempre più attente a ridurre l’impatto ambientale migliorando anche la propria brand reputation, dal punto di vista della dimensione sociale, oggi sempre più ci si muove verso i temi della inclusione e valorizzazione delle diversità, volte a garantire condizioni di lavoro eque e sicure per tutti i dipendenti.
A dare una spinta propulsiva a questa “dimensione di impegno sociale”, è l’obbiettivo 5 – sostenuto anche dagli obiettivi n. 8 e n. 10 – di sviluppo sostenibile dell’Agenda ONU 2030: raggiungere la parità di genere.
L’ONU definisce la parità di genere come “non solo un diritto umano fondamentale, ma una base necessaria per un mondo pacifico, prospero e sostenibile”, una società sostenibile si basa sull’inclusività, sulla non discriminazione e sulla promozione della dignità umana.
Quanto è sostenibile una società umana che non garantisce i diritti fondamentali alle persone?
Guardiamo al rapporto tra economia e società: perché la disuguaglianza non può essere una caratteristica del modello economico di sviluppo sostenibile?
Gli stereotipi di genere continuano ad alimentare un modello aziendale discriminatorio e non inclusivo e rappresentano un fattore critico di sviluppo della corporate governance; infatti, sono un limite per l’efficace impiego di tutte le risorse (in quanto non favoriscono la concorrenza e la meritocrazia): è una “perdita” globale il non riuscire ad impiegare in toto l’ingegno, la flessibilità e la creatività umana prescindendo dalle differenze di genere o di altro tipo. Del resto anche secondo il Gender policies report 2022 l’equilibrio di genere fa crescere il PIL e le Organizzazioni.
Gestire gli aspetti relativi all’inclusione all’interno del mondo del lavoro, non è quindi solo un dovere etico-morale, bensì uno strumento che consente di valorizzare il talento e la competenza in maniera equa e bilanciata, creando nuove prospettive di rilancio sostenibile, innovativo, competitivo e di crescita del sistema produttivo.
Quali sono gli strumenti per eliminare il divario di genere?
Si apre quindi la necessità di eliminare gli ostacoli legati al genere che impediscono di raggiungere la parità dei diritti e la possibilità di sviluppo in ambito lavorativo.
Come migliorare?
È possibile migliorare solo che ciò che si misura. E in questo ci viene in aiuto la Prassi UNI PDR 125:2022, per la certificazione della parità di genere: La prassi infatti propone, oltre ad una serie di stimoli in termini di politiche, strategie, programmi ed azioni di miglioramento, anche una serie di KPI che misurano l’efficacia dell’impegno aziendale sul tema parità di genere.
Infrangere il cosiddetto soffitto di cristallo, ridurre il gap salariale, superare i pregiudizi inconsapevoli, consentire a tutti in base ai propri meriti di intraprendere percorsi di leadership, sviluppare programmi a sostegno della genitorialità e cura, adottare politiche e prassi che favoriscano il bilanciamento tra il tempo dedicato alla vita e quello dedicato al lavoro… sono solo alcuni spunti offerti dalla Prassi. Il tutto, con il coinvolgimento di tutti i livelli Organizzativi, nessuno escluso.
Secondo il World Economic Forum, per colmare il divario globale nella parità di genere, se si continua a questi ritmi, ci vorranno ancora altri 135,6 anni. La Uni PDR forse, se recepita con profonda e concreta onestà, ci aiuterà a ridurre questo tempo infinito.
Ma quali sono gli step per certificarsi?
- Individuazione del cluster e dei KPI di riferimento
- Assessment iniziale rispetto ai KPI applicabili al sistema
- Gap Analysis
- Action Plan/Remediation Plan
- Sistema di gestione (piano strategico)
- Audit
- Riesame della direzione
- Certificazione
I fattori ESG e la parità di genere
Viene facile pensare e constatare che quindi il tema della parità di genere ben si colloca negli obiettivi di sviluppo sostenibile. Si tratta di ampliare lo sguardo e di definire obiettivi e traguardi in maniera integrata.
Una strategia integrate può portare ad un miglioramento generale della competitività, nonché dell’employer branding che consente di attrarre i migliori talenti e di far crescere la reputation, comunicando e “certificando” il proprio valore organizzativo.